Discendente della “Miura”, nipote della “Countach” ed erede della “Diablo”, le berline sportive che hanno fatto la storia della Lamborghini, la “Murciélago” aggiorna – nel rispetto delle tradizioni – una maniera di costruire supercar che si trova solo in terra d’Emilia.
Per quanto riguarda la tecnica, dalle antenate, l’ultima nata del Toro riprende la posizione del motore (V12, 6.2 litri, 426 kW-580 CV), montato longitudinalmente al centro, la carrozzeria con cabina avanzata e le porte che si aprono verso l’alto.
Anche nell’abitacolo si respira un’aria tipicamente “emiliana”: il brancardo largo, la ridotta altezza da terra e le portiere non aiutano certo nell’ingresso, in pieno stile Lamborghini. In compenso, una volta seduti al posto di guida si apprezzano le regolazioni del volante, che permettono di ritagliarsi uno spazio su misura.
Resta l’imbarazzo per il tunnel centrale voluminoso, che ospita la trasmissione, e per la leva del cambio, piuttosto alta, e soprattutto per la mancanza, talvolta, dello “spazio di manovra” per il gomito. Impeccabili, invece, le finiture.
Per quanto riguarda il comportamento dinamico, premesso che la “Murciélago” sa muoversi bene anche in strada, per esplorare i limiti di questa “Lambo”, oltre a un “manico” avvezzo a vetture del genere, serve un luogo non troppo affollato: la nostra pista di Vairano, per esempio. Risolti questi due “problemi” non si può che restare sbalorditi da un motore con una progressione apparentemente infinita e dall’ottima motricità garantita dalla trazione integrale e dal buon bilanciamento delle masse.